A Palazzo Foresti Alberto Marri illustra il XIX secolo
La facciata di Palazzo Foresti a Carpi
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 16 settembre 2024
Dopo varie vicissitudini, l’imponente edificio è tornato a essere un contenitore di collezioni. L’attuale proprietario ha ricostituito la pinacoteca che ora spazia dagli emiliani ai Macchiaioli, ai veneziani e ai napoletani.
La passione per l’Ottocento ci conduce questo mese a Carpi, nel cuore dell’Emilia, terra di ricchezze naturali, artistiche ed enogastronomiche.
In prossimità della cinquecentesca piazza dei Martiri, si erge Palazzo Foresti, monumentale edificio dalla facciata neorinascimentale progettato nel 1892 dall’architetto Achille Sammarini per Pietro Foresti (1854-1926), industriale del truciolo e collezionista d’arte. Risalgono agli anni seguenti la costruzione in mattoni del prospetto su via San Francesco e il completamento degli apparati ornamentali costituiti da inserti marmorei e da formelle in terracotta. L’esterno è decorato da affreschi realizzati dal carpigiano Lelio Rossi, mentre le sale in stile liberty, ospitanti lo studio di rappresentanza, il salotto rosa e il piccolo ninfeo, da Andrea Becchi, autore del sipario del Teatro cittadino, da Carlo Grossi e Fermo Forti.
Sodale di Corrado Ricci e in contatto con Adolfo Venturi, Foresti collocò nel palazzo l’eterogenea raccolta costituita da sculture, smalti, ventagli, monete, armature, mobili, porcellane, tappeti, dipinti antichi e moderni. Successivamente alla donazione nel 1910 alla Galleria Estense di Modena di una terracotta policroma di Antonio Begarelli, l’amatore destinò, come da atto notarile, metà della collezione alla città di Carpi da cui ebbe origine nel giugno 1914 il museo civico allestito nel Castello dei Pio. Nei primi anni Sessanta il palazzo fu acquistato da Umberto Severi, industriale tessile, che lo adibì oltre che a campionario della sua azienda di maglieria, a deposito della collezione di sculture. L’attuale proprietario, Alberto Marri, ci guida nel Palazzo, oggi al centro di molti progetti.
Dopo avere superato vicissitudini familiari, bombardamenti, nonché scosse di terremoto, grazie al suo acquisto nel 2004, Palazzo Foresti è tornato a nuova vita riappropriandosi dopo tanti anni della vocazione originaria: contenere opere d’arte. In che modo si è sentito coinvolto in questa tradizione collezionistica assumendosi l’impegno morale di continuare ad alimentarla?
Fu una fortuita coincidenza. Ebbi notizia che il Palazzo era in vendita da un amico architetto, conoscente dei precedenti proprietari, la famiglia Severi. Da tempo ammiravo Palazzo Foresti e il fatto che non fosse intestato a Umberto Severi, caduto in procedure giudiziarie per un tracollo finanziario, e dunque, libero da problematiche e procedure particolari, mi indusse a intravedervi la possibilità di farne il centro delle mie attività professionali. L’amore per l’arte e la passione collezionistica sono venuti di conseguenza.
Appena varcato l’ingresso, si avverte la sensazione che quanto qui realizzato sia il risultato dell’amore nutrito per l’arte, per la città di Carpi e il suo territorio. Una centralità topografica che le ha permesso di unire le esigenze dell’amatore alle istanze affettive.
Credo che la volontà nasca sempre da un desiderio e, nel mio caso, l’acquisto è stato originato da quello di preservare e ridare vita nella mia città a un immobile di rilevanza storica, artistica e architettonica. Mio zio, Guido Gradellini, sosteneva che gli immobili rispecchiano lo spirito di chi li abita e Palazzo Foresti si è rivelata la sede ideale per accogliere i dipinti e gli arredi lasciatimi proprio da mio zio, amante dell’antiquariato, promotore del recupero del cinquecentesco Palazzo Trecchi a Cremona e del Galileo Galilei davanti al tribunale dell’Inquisizione di Cristiano Banti.
Nella fuga di saloni al piano nobile è allestita una straordinaria pinacoteca che dal primo nucleo di area emiliana, rilevato da Guido Gradellini, spazia ai Macchiaioli, ai maestri della Scuola veneta sino a giungere ai protagonisti del secondo Ottocento italiano.
Sempre a mio zio devo l’avvicinamento alla pittura dell’Ottocento che credo rispecchi le nostre radici, il lavoro contadino e quei costumi di vita che, mantenutisi sino agli anni Cinquanta, fanno parte dei miei ricordi d’infanzia.
Tra i dipinti di maggior pregio si segnalano «Tiziano e Irene di Spilimbergo» di Silvestro Lega, o le «Istitutrici dei Campi Elisi» di Vittorio Corcos, ma altrettanto degno di nota è il nucleo delle undici tele di Giovanni Muzzioli, pittore amato e sostenuto dall’industriale Foresti, che lei è riuscito a rintracciare e a riportare a casa. C’è una linea predominante che accomuna la raccolta? Emerge, infatti, una predilezione per la pittura di figura declinata in ritratti e scene di genere, in netta predominanza rispetto alle vedute paesaggistiche.
Al principio ho inteso privilegiare la raccolta di pittori emiliani anche per vicinanza culturale, successivamente, attraverso Giovanni Muzzioli, ho scoperto e amato i Macchiaioli. Ciò grazie alla loro capacità di rappresentare in modo realistico i luoghi del contado e la vita della società pre e post unitaria. L’interesse si è poi esteso ai protagonisti della scuola veneziana e, in tempi recenti, anche a quelli d’area napoletana per un desiderio di riuscire a documentare l’Ottocento nelle diverse espressioni regionali.
Dal Pnrr 2,4 milioni per la Villa Museo di Puccini
Veduta della facciata e del giardino della Villa Museo Puccini
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 4 settembre 2024
Ubicato di fronte al cosiddetto Belvedere Puccini, l’edificio è stato oggetto di un’importante riqualificazione ambientale portata a termine lo scorso luglio.
La Villa Museo Puccini di Torre del Lago, nata nel 1925 nell’abitazione del Maestro per volontà dell’unico figlio, Antonio, rappresenta nel nostro panorama istituzionale uno dei rari esempi di casa museo. Una suggestiva Wunderkammer ricca di spunti artistici e letterari, riflesso di modi di vita, della storia del costume e dell’arredamento, come il Vittoriale di D’Annunzio, il Museo Mario Praz e, all’estero, la casa dell’architetto John Soane o quella di Gustave Moreau.
Dopo l’ultimazione di importanti lavori di restauro avviati da più di dieci anni con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, relativi ai due pianoforti Forster e Steinway & Sons, al tetto, alla facciata, al ripristino dei vialetti del giardino, al parquet della veranda e agli ambienti del piano superiore come la camera dei coniugi con tessuti, arredi e decorazioni pittoriche originali, recentemente, gli interventi conservativi coordinati dalla direttrice della Fondazione Simonetta Puccini Patrizia Mavilla e dal presidente Giovanni Godi, si sono concentrati al piano terra sul pavimento a mosaico del salone, sulle persiane e sugli uffici direzionali.
Ubicata di fronte al cosiddetto Belvedere Puccini, 9mila metri quadrati affacciati sul Lago di Massaciuccoli, oggetto di un’importante riqualificazione ambientale portata a termine lo scorso luglio grazie a un investimento di 2,4 milioni di fondi Pnrr, la Villa Museo Puccini, come da statuto della Fondazione nata nel 2005 per volontà della nipote Simonetta Puccini, persegue la missione di mantenere viva e onorare la memoria del musicista.
Dopo l’arrivo a Torre del Lago nell’estate del 1891 e la scoperta del carattere edenico della Versilia, di quella dimensione idilliaca generata dalla perfetta combinazione tra una natura incontaminata e la sapiente opera dell’uomo, Puccini vi trascorre ripetutamente le vacanze estive. Sono gli anni in cui insieme a Raffaello Gambogi, Ferruccio Pagni, Plinio Nomellini, Francesco Fanelli, Ludovico e Angiolo Tommasi, elegge a luogo di ritrovo una semplice capanna da cui si originerà l’esclusivo Club della Bohème, epicentro di quel versiliese Quartier Latin, meta di molti artisti gravitanti in Versilia come Amedeo Lori e Galileo Chini. Risale al 1891 la volontà da parte del Maestro di prendere in affitto l’abitazione del guardiacaccia Venanzio Barsuglia. Grazie alla sua ristrutturazione, la dimora di Torre del Lago assumerà l’aspetto attuale di una villetta liberty a due piani dotata di un bow-window, alla cui decorazione ad affresco del salone a piano terra lavoreranno tra il 1899 e il 1900 gli amici Nomellini, Pagni e Luigi De Servi. Questo mausoleo, dove riposano le spoglie del cantore di Mimì e Turandot e dove si conserva il suo patrimonio culturale e artistico, già all’indomani della sua scomparsa è divenuto uno straordinario luogo d’affezione per tutte quelle migliaia di visitatori, melomani incalliti o semplici curiosi che ogni anno intraprendono lunghi viaggi per celebrare con immutata devozione il rito di un ininterrotto pellegrinaggio laico.
«Non ricordo di aver mai visto così tanti cantieri aperti tutti assieme, afferma la direttrice Patrizia Mavilla, è un’operazione complessa, ma ne vale assolutamente la pena». Tutti gli sforzi sono protesi all’imminente celebrazione, il prossimo novembre, del centenario della scomparsa di Puccini e, nell’aprile 2026, dell’anniversario della prima di Turandot alla Scala. «Stiamo lavorando con intensità e passione per presentare un programma scientifico e culturale di grande rilevanza, che possa servire a conferire ancor più risalto alla figura del Maestro e, di riflesso, all’intero territorio. Per riuscirci, è necessario che enti e fondazioni operino in stretta collaborazione, facendo rete».
Pinacoteca di Tortona: un museo strategico
Una sala dell’esposizione permanente «Il Divisionismo» presso la Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona
di Elisabetta Matteucci da Il Giornale dell'Arte, 26 agosto 2024
Il progetto collezionistico in esposizione permanente della Fondazione Cassa di Risparmio piemontese spazia dalla Scapigliatura alla Grande guerra
Nel 1999, dall’acquisto da parte della Fondazione di un nucleo di opere raccolte dalla Cassa di Risparmio di Tortona, tra le quali spiccavano alcune tele di Giuseppe Pellizza da Volpedo e di Angelo Barabino, nacque l’idea di dare vita a un ambizioso progetto collezionistico incentrato sul territorio lombardo-piemontese nel periodo compreso tra la Scapigliatura e l’inizio della Prima guerra mondiale. Proprio in questa zona, tra Milano e Torino, nel 1891 aveva avuto luogo il vivace e coraggioso dibattito sulla tecnica del colore diviso. Con un metodo scientifico mutuato dalla teoria dei colori di un chimico francese, accostando i colori puri sulla tela, Vittore Grubicy, Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Pellizza, Carlo Fornara, Emilio Longoni, Matteo Olivero e altri sarebbero giunti a un nuovo paradigma accogliendo istanze socio-politiche e influssi simbolisti.
Dal 2001, anno dell’apertura al pubblico della Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, poi ampliata nel 2008, è allestita un’esposizione permanente. Grazie alla riorganizzazione degli spazi di rappresentanza del museo e all’adeguamento funzionale di alcune sale adibite a finalità espositive, la Pinacoteca ha ricevuto un grande impulso. Anche numerose iniziative tese a coniugare attività didattica e promozione ne hanno consentito il posizionamento al centro del dibattito culturale cittadino, favorendo l’instaurarsi di proficui rapporti con istituzioni museali come i Musei Pellizza a Volpedo o il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Fondamentale è stata l’esposizione permanente «Il Divisionismo» inaugurata nel maggio 2012 e documentata dal catalogo edito per l’occasione. Del resto, vi è stato un continuo incremento delle opere pervenute negli ultimi dieci anni, frutto di una mirata politica di acquisizioni che lo ha reso uno strumento indispensabile per gli studiosi.
La visita vale il viaggio. Sin dalla prima sala, il visitatore è immerso nel racconto visivo e filologico di uno dei momenti fondamentali della pittura italiana tra Ottocento e Novecento: attraverso un percorso animato da più di cento opere di oltre quaranta artisti, allestite su una superficie di oltre cinquecento metri quadrati che stabiliscono un gioco di rimandi, assonanze e confronti tra la sperimentazione cromatica della Scapigliatura, le declinazioni sociali della tecnica divisa, sino ai nuovi linguaggi simbolisti e futuristi.
Si sono aggiunti nel corso degli anni «Piazza Caricamento», «Sulla costa ligure» e «Mattino d’aprile» di Plinio Nomellini, «Credenti» di Morbelli, «Malvoni» di Segantini, «Ultimi pascoli» di Fornara, «Studio dal vero» di Longoni, «Penombre» di Previati e «Crepuscolo» di Leonardo Bistolfi. Altrettanta attenzione è stata riservata anche a pittori meno noti. Tra le ultime entrate, «Il cammino dei lavoratori» di Pellizza e «Il reddito del pastore» di Giovanni Segantini.
I macchiaioli di Banca Intesa nella casa di Ivan Bruschi
Facciata del Palazzo del Capitano del Popolo ad Arezzo, sede della Fondazione Ivan Bruschi
di Elisabetta Matteucci da Il Giornale dell'Arte, 19 luglio 2024
Il Palazzo del Capitano del Popolo non solo raccoglie la vasta collezione (8mila manufatti) dell’antiquario, ma è diventato un luogo d’incontri nel segno dell’antiquariato. Il conservatore Carlo Sisi ci illustra le attività della casa museo
Alla guida fino al 2006 della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti a Firenze, della quale ha curato l’edizione del catalogo generale, Carlo Sisi ha diretto dello stesso complesso museale, dal 1999 al 2002, la Galleria del Costume. Specializzatosi nello studio della cultura figurativa dell’Ottocento e del Novecento, dal 2018 Sisi è presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Attualmente ricopre il ruolo di conservatore della Fondazione Ivan Bruschi, istituita per via testamentaria dallo stesso antiquario toscano (1920-96). Ancora in vita, l’appassionato collezionista decise di rendere pubblica la propria dimora e la raccolta ivi conservata, facendone una casa museo, nominando la fondazione omonima erede dei propri beni e affidandone l’amministrazione alla Banca cittadina.
La finalità della fondazione è quella di essere un punto di riferimento in un settore di rilievo culturale ed economico per la città di Arezzo qual è l’antiquariato. La raccolta, conservata in uno storico palazzo cittadino, è un’operosa realtà culturale che ospita mostre temporanee e collaborazioni con realtà museali nazionali, oltre a ospitare percorsi e laboratori didattici, conferenze e concerti.
Dottor Sisi, può raccontarci a grandi linee questa straordinaria vicenda collezionistica di fine Novecento che indusse Ivan Bruschi, amico di Roberto Longhi, fondatore nel 2 giugno 1968 della più antica fiera antiquaria italiana, a ristrutturare il trecentesco Palazzo del Capitano del Popolo, nel cuore di Arezzo, per allestirvi il proprio eccezionale nucleo composto di oltre ottomila manufatti?
Bisogna risalire alla metà degli anni Cinquanta per intercettare l’avvio del progetto di Ivan Bruschi che prevedeva il restauro dell’antico Palazzo del Capitano del Popolo, già di proprietà della famiglia, per farlo diventare luogo di incontri nel segno della «cultura» dell’antiquariato. Un’idea che maturò non soltanto occasioni musicali, letterarie e di molteplici dibattiti cittadini, ma che regalò ad Arezzo un notevole patrimonio artistico frutto della costante ricerca mercantile di Bruschi che, alla fine della sua vita, seppe agire in maniera tale da assicurare alla sua città il percorso museale che oggi possiamo ammirare grazie al sistematico lavoro di inventariazione, e di conseguente conservazione, prodotto originariamente dalla Scuola Normale di Pisa e perfezionato nel tempo dall’attuale direzione.
Quali strategie avete adottato per una maggiore apertura del museo, per renderlo più presente e dialogante con i circuiti culturali cittadini e promotore di nuove collaborazioni?
Grazie al sostegno degli Istituti bancari che si sono avvicendati nel governo della Fondazione, la Casa Museo ha conquistato un alto profilo nell’ambito delle realtà museali in Toscana arricchendo innanzi tutto la conoscenza scientifica della propria collezione, formata da una ricca varietà di opere e manufatti, e aprendosi di conseguenza alla città e al territorio con una nutrita gamma di offerte culturali e didattiche che hanno creato efficaci sinergie con tutte le istituzioni regionali. Entro l’anno verrà pubblicato il catalogo che in una forma editoriale agile ma scientificamente approfondita, grazie al concorso di numerosi specialisti, illustrerà per la prima volta il singolare panorama della nostra raccolta che spazia dai dipinti alle sculture, dai reperti archeologici alle arti applicate, dalle epigrafi alle monete, dai tessuti alle arti extraeuropee.
Com’è nata la sinergia con Intesa San Paolo? Quali vantaggi ha portato alla Fondazione?
È recente l’inclusione della Casa Museo nella galassia di Intesa San Paolo, ma già dai primi passi il lavoro svolto nel disegnare il profilo museale e scientifico della nostra istituzione si è trovato in piena sintonia con la missione della nuova governance che ha riconosciuto la qualità dei risultati. Tra l’altro, ha consentito di far acquisire al Museo un importante comodato di opere d’arte toscane provenienti dalle stesse collezioni di Intesa. L’iniziativa ha arricchito il percorso con dipinti di Pontormo, Allori, Lega, Signorini e Fattori, con un significativo incremento di interesse del pubblico cittadino che frequenta il Museo anche in occasione dei concerti che compongono una stagione molto frequentata.
Tra gli eventi recenti vi è la mostra «La libera maniera» il cui titolo allusivo richiamava la rivoluzione stilistica dell’arte cinquecentesca che ebbe come protagonista Giorgio Vasari. In che modo Arezzo e il museo si sono organizzati per celebrarne l’anniversario dei 450 anni dalla morte?
La mostra intitolata «La libera maniera», dedicata all’arte degli anni Sessanta del Novecento, è un ulteriore risultato della sinergia avviata con Intesa San Paolo la quale anticipa una collana di eventi capaci di attrarre il pubblico nella suggestiva alternanza di memorie dell’antico e di proposte contemporanee. Non a caso il titolo richiama la rivoluzione artistica cinquecentesca che ebbe protagonista Giorgio Vasari, quest’anno celebrato nella sua Arezzo con un ciclo di importanti eventi. Anche con questa iniziativa, la Casa Museo si propone di assumere una centralità nella vita culturale cittadina senza tralasciare tuttavia l’obiettivo di allargare l’orizzonte della propria azione anche all’ambito nazionale.
Pandolfini: «Vendiamo l’Ottocento da 100 anni»
«Guidando al bois» (1874) di Giuseppe De Nittis, firmato e datato
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 25 giugno 2024
Pietro De Bernardi, nipote di Cirano Pandolfini, è subentrato nel 2000 in qualità di amministratore delegato alla guida della casa d’aste più antica d’Italia
Classe 1969, bocconiano, Pietro De Bernardi, nipote di Cirano Pandolfini, subentra nel 2000 in qualità di amministratore delegato alla guida della casa d’aste più antica d’Italia. Fondata nel 1924 dal cavalier Luigi Pandolfini, padre di Cirano, e con sede dalla metà degli anni Quaranta in Palazzo Ramirez Montalvo a Firenze, la Pandolfini Casa d’Aste ha incrementato la propria attività di vendita all’incanto di mobili, arredi e oggetti d’arte maturando una specializzazione sempre maggiore nell’arte del XIX secolo. Risale al 2019 il raggiungimento di un volume di affari tale da imporsi come la prima realtà in Italia soprattutto per il dipartimento della pittura del XIX e XX secolo.
Pietro De Bernardi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, quella Internazionale di Ca’ Pesaro e le Gallerie d’Arte Moderna di Milano, Torino e Firenze, unitamente agli istituti finanziari impegnati nella promozione di operazioni culturali rappresentano l’epicentro della musealizzazione della pittura e scultura italiana dell’Ottocento. In quale misura Pandolfini ha contribuito ad arricchirle?
A proposito dei programmi di acquisizione da parte degli istituti bancari e delle Gallerie nazionali, se è vero che le istituzioni rispondono a tempistiche non sempre conciliabili con i tempi scanditi dalle case d’asta, negli ultimi anni Pandolfini ha addirittura intensificato questo tipo di rapporti. Ciò è stato indubbiamente favorito dallo sviluppo delle trattative private, dinamica di vendita da noi particolarmente sviluppata nell’ultimo decennio, che offre alla clientela una modalità di trattativa più mirata e dai tempi meno serrati rispetto alle vendite all’incanto, stabilendo contatti diretti non solo con i collezionisti privati, ma anche con i responsabili delle acquisizioni degli Istituti e delle Gallerie interessati all’acquisto delle opere. Altro elemento che ci ha permesso di stabilire con le istituzioni un rapporto più stretto è quello della vendita all’asta di opere sottoposte a vincolo di notifica, cioè che non possono uscire dal territorio italiano. Questa iniziativa è stata premiata dall’interessamento di numerosi istituti e musei che, avendo a disposizione più tempo per poter confermare l’acquisto, possono di volta in volta seguire l’asta per le opere che interessano.
In ambito internazionale la storia dell’arte italiana è sempre stata associata alla cosiddetta Alta Epoca. Negli anni Trenta la situazione comincia a mutare grazie alle rassegne di Londra (1930), Parigi (1935) e Berlino (1937), tre tentativi pionieristici cui va riconosciuto il merito di aver contribuito ad ampliare la prospettiva tramite l’inclusione di sezioni dedicate alla cultura figurativa del XIX secolo. Dalla sua posizione privilegiata può indicarci quale profilo di rischio e quale rendimento presenta oggi l’acquisto di opere di tale periodo?
La pittura del XIX secolo ha rivestito un ruolo cardine nel mercato per tutto il secolo scorso, soprattutto nel dopoguerra, quando si sono formate alcune tra le più grandi collezioni di pittura italiana. In tale processo il ruolo delle case d’asta è stato decisivo tanto a livello italiano quanto internazionale. Come quelle dei maestri antichi, anche le opere dell’Ottocento sono sottoposte al vaglio della Soprintendenza, elemento certo da considerare in quanto a volte determinante per una valutazione corretta rispetto a opere degli stessi autori italiani che però si trovano all’estero. È fondamentale d’altro canto comprendere che la produzione di quello che è stato l’800 italiano coinvolge un breve periodo storico e una limitata produzione di opere. Ciò spiega la scarsità dei capolavori, in grande maggioranza già presso musei o difficilmente «rimessi in libertà» dai proprietari.
I progetti espositivi e le campagne di acquisizione perseguite dai musei, le strategie di offerta delle case d’asta e gli studi critici sono fattori essenziali per determinare i valori della produzione di un artista. Il sistema dell’arte è regolato da una logica complessa in cui il dato culturale non sempre trova corrispondenza nella quotazione di mercato. Come spiega la riconsiderazione economica che negli ultimi dieci anni ha riguardato la pittura dell’Ottocento? E quali pittori e scultori operanti in quel secolo si rivelano trainanti?
La pittura italiana dell’Ottocento non ha avuto una diffusione internazionale, come ad esempio quella francese, che ha beneficiato dell’azione di mercanti e collezionisti decisi a diffondere i propri artisti in tutto il mondo. Ad oggi gli artisti italiani con eco internazionale sono i pochi che hanno operato in città quali Londra e Parigi, mentre il nostro Ottocento ha avuto una grande risonanza e diffusione soprattutto in territorio italiano e fra collezionisti nazionali. In un mondo dove i ritmi vengono sempre più dettati dalla tecnologia e dai consumi, anche l’arte diviene necessità condizionata da eventi. Ma è altrettanto chiaro che l’arte antica, e in questo caso intendiamo anche quella del XIX secolo, non può avere la reperibilità e diffusione che invece offre l’arte contemporanea. Alla luce di ciò, la rarità di capolavori rende ancor più incisivi risultati come la recente aggiudicazione del bellissimo ritratto di Vittorio Maria Corcos, «Ritratto di Paolina Clelia Silvia Bondi», che seppure notificato è stato da noi aggiudicato lo scorso anno a una cifra record non solo per il mercato italiano. È possibile altresì individuare il profilarsi di un nuovo tipo di collezionista, generalmente professionisti e cultori delle opere dell’Ottocento e primo Novecento, intento a ricercare con gusto raffinato opere di artisti minori tanto in pittura quanto in scultura, con attenzione primaria alla qualità, piacevolezza e autenticità dell’opera. Sicuramente se la rarità, la freschezza del mercato e il soggetto rappresentano fattori chiave nella determinazione dei prezzi, in Italia ci sono tante possibilità di riscoprire lavori di buon livello. Infine è bene evidenziare il grande numero di importanti mostre dedicate all’Ottocento in questi ultimi due anni in Italia. Le diverse mostre dedicate a Giovanni Fattori e ai Macchiaioli, ai vedutisti napoletani alle Gallerie d’Italia e, più recentemente, la bella esposizione «Napoli Ottocento» alle Scuderie del Quirinale, la splendida mostra dedicata ai Preraffaelliti a Forlì, nonché un unicum quale il Museo dell’Ottocento Fondazione Di Persio-Pallotta a Pescara, stanno dando una grande visibilità alla pittura italiana dell’Ottocento, risvegliando anche un pubblico più giovane.
Nel mercato si registra un’evidente prevalenza di opere realizzate nella seconda metà del secolo rispetto a lavori di epoca neoclassica, purista o romantica. Qual è la ragione secondo il suo punto di vista?
Come dicevamo il gusto è cambiato e la produzione di primo Ottocento, quella più accademica, purista e neoclassica, interessa un pubblico più vicino alla pittura antica. I temi storici sono rivolti a una nicchia di collezionismo. La pittura romantica, per la piacevolezza dei temi e per l’esecuzione spesso più morbida e di facile comprensione, mantiene un interesse maggiore da parte del pubblico. I grandi e raffinati ritratti sono sempre ricercati. Ovviamente, la produzione pittorica della seconda metà dell’Ottocento stimola un collezionismo più legato al territorio.
I lombardi hanno un vantaggio: la Rete dell’800
La sede della Rete dell’800 Lombardo presso la Fondazione Accademia Carrara di Bergamo Foto tratta da Wikipedia
di Elisabetta Matteucci, da Il Giornale dell'Arte, 13 giugno 2024
Un sodalizio di istituzioni museali si impegna ogni anno nell’accrescimento dei propri partner e conta 18 realtà distribuite sul territorio regionale, coordinato da Fondazione Brescia Musei
La Rete dell’800 Lombardo riunisce istituzioni che riconoscono il proprio tratto identitario comune nel patrimonio artistico e culturale del XIX secolo in Lombardia, testimoniando con le loro collezioni la ricchezza, la molteplicità e la complessità di quell’epoca. Nata nel 2004, la Rete si è ricostituita nel 2019 grazie al supporto di Regione Lombardia con l’intento di valorizzare e promuovere luoghi e raccolte legati a vario titolo alla cultura ottocentesca.
La Rete intende sviluppare progetti di studio, ricerca, valorizzazione e divulgazione allo scopo di offrire e garantire una migliore offerta culturale attraverso strumenti integrati di guida al territorio. Il sodalizio di istituzioni museali si impegna ogni anno nell’accrescimento dei propri partner e attualmente conta al suo interno ben 18 realtà distribuite sul territorio regionale, coordinato da Fondazione Brescia Musei, eletto ente capofila nel 2021: Accademia Carrara (Bergamo); Ateneo di Brescia-Palazzo Tosio, Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia e Pinacoteca Tosio Martinengo (Brescia); Museo Diotti (Casalmaggiore); Museo Ala Ponzone (Cremona); Accademia Tadini (Lovere); Accademia di Belle Arti di Brera, Galleria d’Arte Moderna di Milano, Museo del Risorgimento di Milano, Museo Bagatti Valsecchi e Museo Poldi Pezzoli (Milano); Castello Bonoris e Museo Lechi (Montichiari); Musei Civici di Monza; Musei Civici di Pavia; Villa Carlotta, Museo e Giardino botanico (Tremezzina); Villa Monastero (Varenna).
La Rete dell’800 Lombardo è frutto della consapevolezza di quanto sia ampio il panorama che da quel secolo affiora ancora oggi sotto il tessuto della Lombardia moderna. Nel rispetto dell’autonomia di ognuno, le realtà culturali aderenti si impegnano alla promozione reciproca attraverso la valorizzazione delle singole identità e delle relative collezioni. Per raggiungere questo scopo viene promossa l’elaborazione di progetti di studio e di ricerca comuni che individuino e valorizzino gli intrecci tematici e le diversità; l’organizzazione di seminari, esposizioni, convegni; l’ideazione di itinerari di visita volti all’allargamento delle fasce di pubblico e alla loro fidelizzazione, con particolare attenzione alle scuole; la valorizzazione del patrimonio documentario e degli archivi storici.
Precipua finalità è quella di rendere accessibile il patrimonio, le competenze e le risorse a un pubblico sempre più ampio e diversificato. Nel 2022 il sito è stato arricchito da una sezione Educational, esito del progetto «Due secoli di Rete: I Musei dell’800 lombardo dai carteggi al digitale», finanziato da Regione Lombardia. Online è fruibile un catalogo comprendente oltre 500 opere, corredate di dati tecnici, commenti critici e approfondimenti, oltre a fotografie in alta definizione: uno strumento funzionale alla preparazione e organizzazione della visita, come pure allo studio e alla ricerca. Attraverso i canali social Facebook e Instagram vengono pubblicizzati sia i progetti comuni, sia le iniziative maturate in seno alle singole realtà museali. Tra le iniziative in programma quest’anno vi sono: la III edizione del «Weekend della Rete» (21-22 settembre), una proposta che prevede la realizzazione di un palinsesto di attività condivise tra i partner aderenti; e la Giornata di Studi del 22 ottobre presso il Museo Poldi Pezzoli, intitolata «Le arti applicate in Lombardia nell’Ottocento: artisti, collezionisti, esposizioni e musei».
Benvenuti in casa nostra (è la casa dell’Ottocento)
Una sala del Museo dell’Ottocento aperto a Pescara nel 2021
di Elisabetta Matteucci su Il Giornale dell'Arte, 24 aprile 2024
In una palazzina liberty a Pescara è possibile visitare la raccolta di Venceslao Di Persio e Rosanna Pallotta: 260 opere del XIX secolo su tre piani, in un allestimento intimo e familiare
Con appassionata caparbietà e con spirito filantropico, Venceslao Di Persio, costruttore affermato e la moglie Rosanna Pallotta, illuminato medico e docente universitario, hanno dato vita nel settembre del 2021 a un progetto culturale che possiamo definire grandioso. Nella natia Pescara, in un’elegante palazzina liberty in viale D’Annunzio, già sede della Banca d’Italia, ci offrono il loro Museo dell’Ottocento. Una struttura che accoglie la collezione, frutto della condivisione della passione per la pittura italiana e francese nonché per la scultura del XIX secolo. Tale progetto, proiezione della comune sensibilità e dell’armoniosa concordanza dei due coniugi su scelte, gusti e indirizzi, è divenuto sempre più ambizioso e da due anni, grazie anche alla gestione della Fondazione Di Persio-Pallotta viene offerto al pubblico.
Quando è sorta l’idea di dare vita al museo? Per meglio dire, quale ragione vi ha spinto a trasferire la raccolta da un ambito familiare e domestico a una dimensione pubblica?
L’idea è nata nel momento stesso in cui abbiamo cominciato a collezionare opere d’arte. Non le abbiamo mai ritenute soltanto di nostra proprietà: appartengono alla storia dell’arte, quindi a tutti noi. Noi le custodiamo temporaneamente, curandole al meglio, anche da un punto di vista conservativo, e dando loro una casa. E la casa migliore che si possa dare a un’opera d’arte è certamente un museo.
La vostra collezione, costituita da oltre 260 opere e suddivisa in tre piani, è allestita in 15 sale espositive a cui sono collegate una sala studio, una biblioteca, una sala conferenze e la foresteria. Quali criteri avete adottato per l’elaborazione del progetto di allestimento?
Il criterio principale è stato quello della ricerca di armonia. Le cornici, gli arredi, i colori delle pareti e le luci dialogano con i dipinti senza che mai uno prevalga sull’altro, facilitando così il contatto tra il visitatore e l’opera d’arte. Un altro aspetto importante è quello della dimensione domestica: abbiamo voluto ricreare un’atmosfera intima e familiare, che metta a proprio agio ogni visitatore e lo faccia sentire come a casa. Del resto, le opere d’arte esposte nel museo vengono tutte dalla nostra casa.
Voi documentate con grande respiro la complessità della pittura meridionale dell’Ottocento a partire dagli esponenti del vedutismo internazionale sino al dialogo intercorso tra i pittori italiani e francesi con un focus specifico sui protagonisti dell’École di Barbizon come Courbet, Rousseau, Daubigny e Troyon. Per quale motivo questo specifico filone della pittura dell’Ottocento vi ha particolarmente appassionato?
Le connessioni tra la pittura italiana e quella francese sono, nell’Ottocento, ben più profonde di quanto si possa pensare. Lo sottolineano gli studi recenti, ma rimane un terreno ancora tutto da indagare. La Francia, soprattutto a partire dalla metà del XIX secolo, è stata un punto di riferimento imprescindibile per i nostri artisti, in particolare per i paesaggisti, ma anche per la pittura di figura. La spinta innovativa di artisti come quelli da lei citati è stata immediatamente colta da personalità di primo piano quali Filippo Palizzi e Domenico Morelli, solo per menzionare due dei più importanti, i quali si impegnarono a diffonderla in Italia con un’interpretazione personale, mediterranea. Un fenomeno, questo, che ha influito profondamente anche sulle generazioni successive.
Ci sono prestiti dalla vostra collezione anche nella grande rassegna monografica su Théodore Rousseau, «La voce della foresta», in corso al Petit Palais di Parigi?
Purtroppo no, probabilmente perché il nostro è un museo «giovane» ed è naturale che molti studiosi non ne siano ancora a conoscenza. Molte opere delle quali fino a due anni fa si ignorava del tutto l’ubicazione sono qui da noi, a Pescara! Un esempio risale all’inverno 2022 quando il Musée d’Orsay ha dedicato una mostra a Rosa Bonheur, pittrice rappresentata nella nostra collezione da «L’attelage» e «Les muletiers». Di quest’ultima, il museo francese aveva esposto un’incisione d’après, conservata presso la National Gallery di Londra, indicando nella didascalia «ubicazione dell’originale ignota». Ora sono frequenti le richieste di prestito che ci arrivano da ogni parte del mondo, ma le accordiamo solo a progetti ben strutturati e in sedi di prestigio che le possano valorizzare come meritano.
C’è un’opera dalla quale non potreste mai separarvi?
Davvero impossibile scegliere. Sembrerà retorico, ma è così: sono tutte come figli. Li abbiamo accuditi a lungo in casa, e anche ora che hanno la loro autonomia nel museo non riusciremmo mai a lasciarli andare! Se invece ci chiede qual è l’opera a cui siamo più legati, per quanto anche qui la scelta sia complicatissima, diremmo «Verità» di Antonio Mancini, un capolavoro che emoziona ogni volta che lo si ha davanti.
Pensate che l’arte possa rendere migliore la vita delle persone?
L’arte ha dato un senso speciale alla nostra vita: non solo la migliora, ma la eleva. Come si fa a vivere senza?
I 150 anni dell'Impressionismo anche a Padova
di Elisabetta Matteucci, da Il giornale dell'arte, 10 aprile 2024
Palazzo Altinate-San Gaetano ospita fino al 14 luglio la mostra «Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi», dove gran parte delle opere esposte, oltre cinquanta, provengono dal museo francese detentore a livello mondiale della maggiore collezione di dipinti del pittore (1840-1926). Il centro culturale padovano non ha perso l’occasione di aderire alle celebrazioni indette per i 150 anni della nascita del movimento impressionista, partecipando all’ambizioso programma di promozione internazionale portato avanti dal museo francese già proprietario di un importante nucleo di tele grazie al lascito di Victorine, figlia del medico Georges de Bellio, uno dei primi sostenitori di Monet.
I 150 anni dell'Impressionismo anche a Padova
«Ninfee» di Claude Monet © Musée Marmottan Monet, Parigi. Lascito Michel Monet, 1966. Inv. 5098
di Elisabetta Matteucci, da Il giornale dell'arte, 10 aprile 2024
Palazzo Altinate-San Gaetano ospita fino al 14 luglio la mostra «Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi», dove gran parte delle opere esposte, oltre cinquanta, provengono dal museo francese detentore a livello mondiale della maggiore collezione di dipinti del pittore (1840-1926). Il centro culturale padovano non ha perso l’occasione di aderire alle celebrazioni indette per i 150 anni della nascita del movimento impressionista, partecipando all’ambizioso programma di promozione internazionale portato avanti dal museo francese già proprietario di un importante nucleo di tele grazie al lascito di Victorine, figlia del medico Georges de Bellio, uno dei primi sostenitori di Monet.
Promossa dal comune di Padova, prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet, la rassegna è curata da Sylvie Carlier, curatrice generale e conservatrice del museo parigino, e da Marianne Mathieu e Aurélie Gavoille. Celebri dipinti come «Il treno nella neve.
La locomotiva», «Ritratto di Michel Monet con berretto a pompon», «Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi», «Ninfee» e «Glicini» sono distribuiti in una sorta di viatico iconografico suddiviso in sei sezioni tematiche tese a illustrare le tappe più significative della vicenda umana e professionale del pittore impressionista: dalla nascita nel 1966 del Musée Marmottan Monet, con la nuova intitolazione successiva alla donazione effettuata dal figlio del pittore, Michel, al tentativo di riuscire a catturare la luce, dalla pratica del plein air, con il trasferimento nel 1883 a Giverny dove prendono vita i monumentali cicli decorativi dedicati a partire dal 1914 al giardino acquatico, sino alla produzione dal carattere quasi astratto a causa del peggioramento della vista.
UN ARTISTA A META’ TRA SENTIMENTO LIRICO E COSCIENZA GREEN
«Sortie de forêt à Fontainebleau. Soleil couchant» (1850 circa) di Théodore Rousseau, Parigi, Musée du Louvre (particolare)
di Elisabetta Matteucci, su Il Giornale dell'arte, 1 marzo 2024
A due anni dalla nomina quale direttrice del Petit Palais, Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris, Annick Lemoine persegue nell’intento di promuovere il patrimonio culturale nazionale curando una monografica dedicata ad uno dei protagonisti della Scuola di Fontainebleau. La mostra Theodore Rousseau. La Voix de la forêt, organizzata con il sostegno eccezionale del Musée du Louvre e del Musée d'Orsay, in corso dal 5 marzo al 7 luglio, intende indagare il percorso romantico e al tempo stesso realista di colui che alla metà del XIX secolo svolse in Francia un ruolo fondamentale nella creazione di una nuova scuola di pittura di paesaggio, aprendo la strada all'Impressionismo.